Bernardino
Tomitano nacque a Feltre nel 1439: primo di dieci fratelli, fu battezzato con
il nome di Martino. Dotato di precoce intelligenza e di una memoria prodigiosa,
imparò prestissimo a leggere anziché partecipare ai giochi dei coetanei,
preferendo passare molto del suo tempo fra i libri.
Leggeva
e parlava correntemente il latino e “si entusiasmava” a leggere opere dotte. Il
padre gli faceva gustare la bellezza della nostra religione e suscitava nel suo
cuore sentimenti di fede e di amore e Martino più si istruiva, più diventava
devoto e caritatevole.
Durante
la Quaresima del 1456, un umile francescano, Giacomo della Marca, dal pulpito
della cattedrale predicava verità profonde ma semplici, che “folgorarono” il
diciassettenne Martino. Quest’ultimo visse una profonda crisi interiore, culminante
con la decisione di presentarsi allo stesso predicatore per manifestargli la
volontà di abbracciare la vita francescana. Giacomo della Marca lo rivide per
parecchi giorni, lo interrogò, gli parlò con affetto e semplicità della futura
vita, che lo stesso san Francesco aveva indicato. Dopo più di un mese, convinto
della divina chiamata, lo fece entrare nel convento di San Francesco Grande e
il 14 maggio 1456 gli impose l’abito francescano con il nome di frate
Bernardino. Senza dubbio per ricordare il suo grande amico e maestro,
Bernardino da Siena, che qualche anno dopo la sua morte fu subito canonizzato.
Il buon padre, dopo una prima “ribellione” (un secondo figlio e tre figlie
avrebbero seguito l’esempio del fratello) ringraziò il Signore per la sua
“chiamata”.
Frate
Bernardino trascorse il noviziato a Sant’Orsola, appena fuori Padova; passò poi
a Mantova e a Verona. Presso il convento teologico di Venezia seguì per 12 anni
lo studio delle scienze sacre. A 24 anni celebrò la sua prima messa, a Mantova.
Vi
era in quest’ultima città la consuetudine di ricordare i defunti con “elogi”, a
consolazione dei parenti e conoscenti. Bernardino ne scrisse e lesse più di
duecento e la fama che ne derivò lo aiutò in seguito a superare le molte
difficoltà, i molti ostacoli nella fondazione del primo Monte di Pietà .
Ricevette
dal Capitolo provinciale il titolo e l’ufficio di “predicatore”e in questa
veste fu instancabile. Da Feltre a Trento, a Cittadella e nuovamente a Mantova,
da Arzignano a Reggio Emilia, da Portogruaro, a Treviso, frate Bernardino
suscitava sempre larga simpatia: la sua parola era semplice, infuocata,
penetrante, testimonianza della sua grande conoscenza di uomini e di cose.
Nel
periodo della sua attività pubblica, fra il 1470 al 1494, anno della sua morte,
la nostra penisola era dilaniata da odi mortali e fazioni cittadine. Le classi
ricche si disputavano il potere, erano prepotenti e indifferenti nei confronti
dei miseri; aprivano ovunque banchi d’usura e in questo clima Bernardino
parlava di perdono, di carità e di riconciliazione. Fu a Venezia che nel 1477
ottenne dal Senato veneto di far chiudere “case da gioco”e “di piacere” con la
revoca definitiva dei permessi accordati dal doge in persona. Anche a Padova
l’anno seguente, riuscì a liberare la città “da pubblici scandali”. Padova,
sempre nel cuore, lo vede guardiano del convento di San Francesco Grande e ogni
domenica tiene sermoni con ampio seguito di fedeli e anche non credenti. A
tutti dà consolazione, speranza e aiuti concreti, frutto della carità di molti.
Quando
nel 1479 scoppiò in Italia la peste, Padova non fu risparmiata e Bernardino
“tuonava” dal pulpito, raccomandando la carità verso tutti, dando per primo
l’esempio: si recava negli ospedali, primo tra tutti quello di San Francesco Grande,
nei palazzi, nelle abitazioni misere, nelle strade per assistere e curare fin
dove possibile i malati, cercando di porta in porta, il necessario per i suoi
poverelli e i suoi frati. Quando il “male” lo colpì, in tutta segretezza si
isolò nella sua cella, facendosi curare da un frate infermiere che gli applicò
degli impiastri di sua preparazione. La pietà di Dio lo salvò, pur se
debilitato.
Frate
Bernardino riprese i suoi viaggi rigorosamente a piedi o sulla groppa di un
somaro, grazie alle attenzioni caritatevoli dei più semplici, per continuare la
sua predicazione, una volta che la peste attenuò la sua morsa. A Milano si
parlò addirittura di un prodigio, perché, avendo Bernardino ricevuto il rifiuto
dei barcaioli di fargli attraversare il fiume, non avendo denaro, lo passò
stendendo il suo mantello, sedendovisi sopra con un compagno, come si trattasse
di una barchetta!
In
molti accorrevano alle sue prediche, dopo aver chiuso bottega; molti patrizi
mutarono il loro modo di vivere e molti giovani abbracciarono la vita
francescana, ma ugualmente molti gli furono nemici. In un’occasione cercarono
di ucciderlo, ma il Signore vegliava su di lui: Bernardino rimase incolume e i
due assassini rimasero ciechi sul colpo. In seguito li convertì e, con un segno
di croce sugli occhi, rese loro la vista.
Gli
spostamenti di città in città, compiuti senza nessuna comodità, secondo lo
spirito francescano, minarono il fisico di Bernardino, chiamato “il frate
piccolino”, che negli anni ebbe numerose ricadute, ma che con grande spirito di
servizio e carità fu instancabile nell’avvicinare piccoli e grandi uomini.
Il
popolo continuava a essere oppresso dall’ingiustizia e dissanguato dall’usura!
Fu così che Bernardino ideò, studiò ed elaborò quell’opera della Provvidenza
che doveva passare alla storia con il nome di Monte di Pietà. Molte furono le
difficoltà da superare, ma nel dicembre del 1484, dopo una solenne processione
di popolo, al canto di sacri cantici e reggendo uno stendardo su cui aveva
fatto dipingere una “pietà”, dava inizio alla prima fondazione dei Monti di
Pietà. Pietro Barozzi, vescovo di Padova, ammirato per la riuscita della
fondazione del Monte di Pietà, sollecitò la venuta di Bernardino per la
predicazione nel periodo dell’avvento e il “frate piccolino” sempre docile
all’obbedienza, si mise in viaggio. Venne ospitato nel convento di San
Francesco Grande, che rivedeva con gioia immensa insieme all’ospedale. Nei suoi
sermoni sferzava ogni genere di vizio, continuava la ferma condanna nei
confronti dell’usura e di chi la praticava. Dovette faticare a lungo contro
padovani, veneziani ebrei e contro i costumi riprovevoli di ogni classe
sociale!
Nella
città del Santo predicò sia nel palazzo consolare, sia in cattedrale, ma più
spesso nelle piazze che potevano accogliere più agevolmente le moltitudini che
lo seguivano.
Se
voleva stare un po’ quieto, doveva ritirarsi nel conventino di Sant’Orsola e
pregare i magistrati di Padova di far alzare il ponte levatoio alla porta della
città. Perorare la causa del Monte di Pietà fu snervante, ma nel 1449 il
vescovo poté benedirne la sede. I padovani vollero ricordare l’avvenimento con
una lapide in versi latini: Vive diu et montes pietatis construe multos,
Bernardine, piae religionis honor...: Vivi a lungo e istituisci ancora altri
monti di pietà, o Bernardino, onore della nostra religione.
Bernardino
venne quindi inviato dai superiori in Romagna dove il suo impegno fu a tutto
campo. In una breve sosta a Parma svergognò alcuni falsificatori di bolle
papali, che mercanteggiavano indulgenze.
La
salute frattanto declinava e sempre più frequenti erano gli episodi di
emottisi. L’obbedienza ai superiori lo voleva a Pavia, ma fu un viaggio quanto
mai lento e doloroso. Finché poté reggersi divideva il tempo tra la preghiera,
lo studio, i consigli e gli ammaestramenti a chi lo avvicinava nella sua cella.
L’anima grande del “frate piccolino” spiccava il volo per il cielo all’alba di
domenica 28 settembre 1494.